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Resoconto del seminario di Carlo Muratori “Sale e sapienza: note finali”

Mercoledì 11 maggio si è svolto l’ultimo seminario del ciclo “In cerca di cibo: tra i libri, dalla terra alla tavola, per una società conviviale” promosso dalla Biblioteca del Dipartimento di Agraria dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria. Il seminario, dal titolo “Sale e sapienza: note finali”, ha assunto la forma di una singolare performance comunicativa di Carlo Muratori, apprezzato musicista e scrittore siracusano, invitato a presentare/eseguire il suo ultimo libro-cd “Sale” insieme ai suoi musicisti, Marco Carnemolla (contrabbasso) e Maria Teresa Arturia (fisarmonica). Il prof. Salvatore Di Fazio, introducendo gli ospiti, ne ha sottolineato l’impegno culturale – ormai pluridecennale – per la valorizzazione della cultura popolare del sud. Un impegno che, se da un lato si accompagna a un sincero attaccamento alla tradizione musicale, dall’altro vive di un respiro internazionale, aperto alle espressioni contemporanee e alla collaborazione con altri musicisti (non ultima, quella con Franco Battiato, di cui Muratori ha aperto il nuovo tour).
Carlo Muratori ha esordito spiegando l’origine e il titolo del suo ultimo lavoro: “Vivo in una terra, la Sicilia, in cui il rapporto con il mare ha da sempre avuto una importanza fondamentale. Gli antichi greci, che lì come in Calabria hanno lasciato tracce culturali profonde, usavano quattro termini diversi per indicare il mare, secondo che ne volessero intendere un significato generale (talassa), il senso di una distesa luogo del viaggio (pontos), di un mare vasto e aperto (pelagos). Ma quando dovevano dire del mare dicendone la concretezza dicevano sale (als – alos)” Così il sale è il mare concreto, il mare che si fa materia, “quel che ne resta” quando l’acqua s’asciuga. Cristalli bianchi, luccicanti, preziosi che danno sapore alla vita; sale è anche ciò che sta al fondo del fondo della comprensione della realtà e che leghiamo alla sapienza conquistata. “Per fare il sale concorrono tutti gli elementi; ci vuole la terra, l’acqua; ci vogliono il fuoco del sole e l’aria che l’acqua asciugano”. Anche le parole delle canzoni si asciugano, per arrivare a cogliere l’essenziale.
Muratori le sue keywords le ha scritte su fogli di carta che appende con le mollette a un filo, come i panni del bucato. Le prime parole sono “tempo” e “pazienza”. Perché “pacienza ci voli a li burraschi, ca nun si mancia meli senza muschi”. Lo stesso è per il sale: “mesi e mesi occorrono per catturare il sale dalle acque del mare; così presente e disciolto da essere totalmente invisibile (...) candida anima segreta di una natura che sfugge ai nostri sensi e che sa raccontarci e rivelarci il vero gusto della vita”. Di questa pazienza si tesse la vita, disposta all’attesa, come i versi in siciliano della sua “Gloria a mia” suggeriscono: “Ci vuole uno sguardo lungo per guardare / E le orecchie tese per ascoltare / Riconoscere con il cuore il destino / Perché chi è sazio non crede al digiuno”.
Dall’infanzia affiorano i ricordi dei banditori che vendevano il sale per le strade di Siracusa. Muratori propone al pubblico l’ascolto delle loro “vannìate” immortalate nelle registrazioni storiche. “Jancu e finiòsa” (“bianco e fino è il sale!”) è il titolo della canzone che propone. Un canto che si lega anche al ricordo delle candide saline della costa di Priolo, ora assediata dal catrame e dalle ciminiere dell’industria petrolchimica. Un’industria che nella costa aretusea si impianta all’inizio degli anni Cinquanta, gli stessi anni in cui in una umilissima casa di Siracusa, abitata da una coppia in difficoltà, un quadretto della madonna inizia a lacrimare. Vi accorrono da ogni dove migliaia di persone. “Da subito si gridò al miracolo. Ricordo che quelle lacrime furono analizzate: risultò che erano lacrime umane. Salate lacrime umane”, racconta Muratori. “Ho immaginato che dalle saline sepolte dal catrame, il sale si fosse scavato una sua strada per materializzarsi altrove, sgorgando da quel quadretto di gesso: lacrime amate, lacrime invocate, che cadendo sulla terra paradossalmente ci riportano su, in un cielo gravido di misteri”. “Lacrime”: un’altra parola da stendere ad asciugare, e poi “Anibardo”. Le lacrime le canta in “Raggi d’argento”: “Sono le lacrime mute parole / che scendono al cielo cercandolo altrove”. Ma... Anibardo? La data del seminario-concerto di Muratori non è una data qualsiasi. Undici di maggio, come quell’11 maggio del 1860 in cui Garibaldi e i suoi mille sbarcarono a Marsala. Inevitabile rileggere quelle vicende attraverso il canzoniere popolare dell’epoca. In “Vinni cu vinni” di Anibardo – così Garibaldi era chiamato dal popolo analfabeta - viene tracciato un ritratto dai contorni mitologici; un personaggio, che in sé assomma i caratteri di San Michele arcangelo, Gesù Cristo e Carlo Magno, e in cui è riposta l’attesa di una potenza liberatrice. La disillusione arriva subito, espressa in “E sugnu ‘talianu”, coi versi di un anonimo barbiere di Chiaramonte Gulfi, che nel 1862 così descrive la nuova situazione in Sicilia “Semu ‘n menzu di tanti tradituri / Nun si sapi di cui si pò vardari / Nun c’è amici nun c’è firi nun c’è unuri / Ognunu pensa comu pò arrubbari / Si persi di la facci lu russuri / È veru ca ora c’è la fratillanza / Ma Cristu santu la miseria avanza”. Forse l’espressione più amara del Risorgimento in Sicilia è l’eccidio di Bronte, che Muratori canta in una sua composizione ,“Chi dici Nicò”, dedicata a Nicolò Lombardo. Giudice, pur fervente liberale, Lombardo fu fatto fucilare da Bixio insieme ad altri innocenti, catturati in un’azione di rappresaglia, dopo un processo-farsa. I liberatori attesi lo sacrificarono per rispettare l’accordo con altri dominatori, gli inglesi che proprio in territorio di Bronte avevano un loro presidio.
“Il tempo, il siciliano lo ha fatto a pezzetti e quei pezzetti di tempo li ha disposti a cerchio dinanzi a sé”. Il tempo, divenuto circolare, fa sì che oggi il mare – il mare del sale – ci rechi di innumerevoli migranti le storie, le miserie e le aspettative. Non possiamo non riconoscerci in esse, per averle, dolorosamente, vissute nella nostra storia. “Sono sgorgate a fiumi lacrime di gioia e di dolore a gonfiare questo mare e le sue onde: lacrime di uomini, donne e madonne in croce, vaticinio e profezia del nostro presente”. Il presente è quello cantato in “L’esodo”, un canto che si fa domanda, invocazione: “Spacca il mare / Come fertile valle / Senza reti e barriere / Che non debba annegare mai / Nessuno mai nessuno // Apri il mare / Che io possa passare / Camminare / Che non debba morire mai/ Nessuno mai nessuno”.
Man mano, appare più chiaro il senso del titolo dato al cd-libro presentato da Carlo Muratori, Maria Teresa Arturia e Marco Carnemolla, ad Agraria: “Da tempo immemore – scrive Muratori – così recita un adagio siciliano: Cu havi chiù sali conza ‘a minestra; ossia chi ha più sale prepari, insaporisca, apparecchi, metta insieme una minestra...Quel sale che è inteso come sapienza, ma anche come pazienza e scienza del vivere, descrive in modo mirabile la cultura, la civiltà, la sapidità del popolo siciliano. Questa strana generosità di un Sud povero che aiuta ed accoglie i poveri dei disperati di altri Sud del mondo. Proprio quel Sud che ha avuto più sale ma meno minestre, più saperi ma meno poteri, più speranze ma meno certezze”. Nel bis, richiamato da un lungo applauso, Muratori cambia registro musicale e in “Mutu”, si prende gioco ironicamente dell’omertà e dell’indolenza degli opportunisti, in una società dove “abbiamo finito d’essere gente / siamo diventati tutti clienti”. Resta, infine, l’invito a vivere e guardare diversamente la quotidianità, l’apertura al reale: “Per comprendere il tutto bisogna concentrarsi sulle piccole cose: osservare due occhi e il sale delle loro lacrime per capire la sofferenza dell’intera razza umana, guardare una stella per comprendere il cielo sconfinato, avere in mano un granello di sale per toccare il più lontano degli oceani”.

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